Maria Luisa Di Summa, presidente della Società Italiana di Medicina Antroposofica
In questi mesi molti, tra quanti conoscono la medicina antroposofica, si sono chiesti quale fosse la nostra posizione di fronte alle vicende legate al virus Covid-19, spesso sottovalutando la complessità dell’attuale situazione, che rende poco accettabili posizioni unilaterali o dogmatiche.
La medicina antroposofica è nata presentandosi al mondo, come “un ampliamento dell’arte medica”, in un momento in cui si era ancora relativamente lontani da ciò che caratterizza oggi la medicina e dagli orientamenti attuali della scienza. La medicina antroposofica nasce dunque con un intento di collaborazione con una ricerca scientifica volta alla conoscenza.
I medici antroposofi, anche delle generazioni successive, hanno sempre cercato di trovare punti di incontro con l’attuale medicina accademica, non assumendo mai, sull’esempio di Rudolf Steiner, posizioni estreme, anche sul tema delle vaccinazioni.
La vaccinazione antivaiolosa, ad esempio, può essere ancora considerata il frutto di una scienza mossa da un impulso alla conoscenza della realtà e dei fenomeni naturali, in cui era prevalente l’osservazione oggettiva di tali fenomeni.
Tuttavia, l’impronta di un pensiero sempre più materialista ha determinato un rapido spostamento della ricerca scientifica dallo scopo della conoscenza a quello dell’utilità. Questo
ha determinato il fatto che i frutti parziali di questa conoscenza vengano usati per intervenire
sul vivente senza la coscienza della loro limitatezza.
Gli interventi che vengono messi in atto di fronte all’uomo malato, nel tentativo di curarlo, presentano perciò spesso delle criticità proprio perché sono frutto di una conoscenza parziale. Di conseguenza essi sono destinati a subire delle modificazioni nel tempo, ma, finchè sono sorretti da quella compassione e da quell’impulso terapeutico che da secoli caratterizzano la figura del medico e l’essenza della medicina, questi interventi non possono essere condannati e spesso non possono essere evitati.
Diversa è la situazione in cui l’atto medico diventa imposizione, violenza o manipolazione del vivente.
Sono confini spesso sottili. ma caratterizzati dal fatto che oltre quei confini l’impulso terapeutico del singolo medico verso il singolo paziente cessa di esistere, oppure diventa insostenibile, fino a trascinare nella malattia lo stesso medico.
Questi confini, nelle circostanze attuali si sono ulteriormente assottigliati e alla cura attenta del singolo, al bene del singolo, si è troppo spesso sostituito un presunto bene comune, aprendo la strada a quel principio che, sul piano sociale, ha sempre minacciato la libertà. Il bene della collettività, messo al di sopra del bene dell’individuo, ha aperto la strada agli eventi più tragici della storia e alle scelte più scellarate che l’umanità abbia conosciuto. Si tratta di un punto fondamentale che non riguarda solo i medici ma tutti noi e sul quale è necessario prendere una posizione personale, che non può dipendere dalle posizioni, giuste o sbagliate, di altri, che siano medici o politici.
Per quanto riguarda i medici, e in particolare i medici antroposofi, il fatto che alcune misure terapeutiche prese nella emergenza improvvisa dal Covid-19 siano state poi considerate un errore e che la medicina antroposofica da sempre cerchi di mettere in guardia contro certi errori, a cominciare ad esempio dall’uso immotivato degli antipiretici o da una eccessiva medicalizzazione
degli anziani, non autorizza ad assumere posizioni di condanna verso l’operato di quei medici che si sono trovati di fronte al drammatico confronto tra la loro volontà di curare e una realtà nuova e sconosciuta, nella quale hanno spesso dolorosamente sperimentato sentimenti di impotenza.
Possiamo però osservare che questa realtà nuova e sconosciuta ha svelato il volto della medicina attuale: una medicina che rispecchia, come è sempre stato, le concezioni della sua epoca, e dove la paura che nasce dalla attuale concezione della vita e della morte ha raggiunto, quale paura del contagio, anche chi, per tradizione, era immune da questa paura, cioè i medici.
Anche in questo stiamo assistendo a una svolta epocale e si aprono, tra l’altro, prospettive di obblighi vaccinali per i medici, con vaccini che non potranno essere da tutti accettati e tanto meno consigliati ai pazienti. Non siamo più al tempo della vaccinazione antivaiolosa, e neanche a quella dell’antipolio della nostra giovinezza. Siamo al tempo di vaccini che presentano grandi interrogativi, a fronte di situazioni epidemiche che non sempre giustificano certi rischi
e che dunque mettono in seria difficoltà quei medici che si sentono ancora legati al giuramento Ippocratico del “primum non nocere”.

Tra la ricerca scientifica in campo medico e l’atto medico passa inevitabilmente un elemento di interpretazione, affidato alla libertà e alla responsabilità del medico. È per questo che non parliamo di scienza medica, bensì di arte medica; ma questa è possibile solo dove convergono il coraggio di conoscere e il coraggio di tentare di guarire. L’atto medico è sempre un tentativo, che può anche fallire pur nella più eroica dedizione del medico, come questa vicenda del Covid-19 ha ampiamente dimostrato.
Se la ricerca scientifica restringe il suo campo di indagine a ciò che a priori viene considerato utile e se il medico non considera l’unicità del singolo malato, la scienza e la medicina rischiano di convergere su un obiettivo astratto, che è quello della lotta alla malattia in nome di un presunto bene della comunità; lotta che può andare persino a scapito della salute del singolo. La malattia, come la morte, non possono essere sconfitte se non aprendo scenari verso un transumanesimo, che del resto oggi viene da molti auspicato.
Che i rimedi presi in occasione di questa vicenda rischino di essere peggiori del male che si voleva evitare, che si siano attivati interessi economici impropri, che si stia fatalmente incrementando la
spinta già in atto verso le relazioni virtuali con danni gravi soprattutto nei minori, sono fatti sui quali già si pone l’attenzione: non è necessaria la medicina antroposofica né l’antroposofia per prenderne atto. E molte voci si sono già levate con saggezza su questi temi.
Quello che l’antroposofia può mettere in evidenza è il fatto che dietro a tutto ciò vi sono dei tragici errori di pensiero o l’assenza di qualcosa degno di essere definito pensiero. E per la medicina antroposofica la chiarezza del pensiero, il riconoscimento della sua natura spirituale, è il primo, fondamentale, elemento di salutogenesi. Nella Filosofia della libertà di Rudolf Steiner e nella sua teoria dei sensi, ognuno può trovare quanto è necessario per prendere una propria posizione personale sulle vicende in atto.