dal libro: Das Evangelium di Emil Bock
I racconti della resurrezione, così come quello del Cristo che cammina sulle acque, sono chiari esempi di miracoli che vanno intesi come processi puramente spirituali. La stessa resurrezione, che va annoverata fra i miracoli del Vangelo, impone di per sé una visione spirituale, perché non può trovare posto in una concezione materialistica del mondo.
Ed è per questo che la realtà della resurrezione di Cristo sfugge in larga misura all’umanità di oggi. A Pasqua da innumerevoli pulpiti si parla di resurrezione, ma come se fosse equivalente all’immortalità. La resurrezione però è più dell’immortalità, è un mistero del corpo, non dell’anima. La seconda scena alla fine del vangelo di Luca lo stabilisce in modo inequivocabile. Cristo appare ai discepoli. Si sono spaventati, scambiandolo per uno spettro, per uno spirito. Per dimostrar loro che non è un semplice spirito, Cristo domanda: “Avete qualcosa da mangiare?”, e davanti ai loro occhi si ciba di pesce arrostito.
Questa scena ha sempre reso incerti tutti i tentativi di intendere la resurrezione in senso spirituale. Solo una visione spirituale-reale, non astratta-spirituale, può dare sicurezza. Proprio nella scena in cui il Risorto si ciba, l’interpretazione spirituale della resurrezione dovrebbe dimostrare la propria validità.
Ma vanno dette alcune cose sulla lettura del Vangelo, partendo appunto da questo brano. L’errore nella lettura del Vangelo non è mai tanto grave, considerato anche il punto e il livello, come nelle apparizioni del Risorto. Quasi sempre si trattano i racconti evangelici come se nulla li precedesse. Non è però senza significato se un racconto si trova all’inizio, alla metà o alla fine del Vangelo. Ogni capitolo conduce a un livello superiore, più santo, della rivelazione e dell’esperienza. Non vi è analisi più banale di quella che considera casuale e arbitraria la successione dei racconti, come se fosse nata raccordando singoli brani slegati fra loro. Il Vangelo ha sempre il carattere di via, di cammino. Ogni brano presuppone che chi desidera comprenderlo abbia realmente percorso tutto ciò che lo precede. Ogni racconto ha un proprio livello determinato da quanto viene prima: il gradino a cui si colloca corrisponde ai brani che lo hanno preceduto.
In nessuna narrazione evangelica, però, è tanto deleterio quanto nei racconti della Pasqua considerarli senza tener conto del livello, come se fossero al livello del terreno, a pianterreno, per così dire. Solo chi ha percorso tutto il Vangelo con un atteggiamento di rispetto, chi soprattutto è passato attraverso il racconto della Passione e del Golgota, lasciandosene gradualmente trasformare, può arrivare a una comprensione delle vicende del Risorto.
Se ci si avvicina in questo modo ai racconti della Pasqua, non si potrà mai accettare una concezione grossolanamente materialistica o puramente astratta. Si sperimenta infatti che tali racconti si collocano su un’altissima, santa vetta che vuole essere scalata. Questo dovrebbe lentamente diventare un naturale fondamento in ogni considerazione sul Vangelo: trovare quale sia il livello particolare di ogni racconto.
Ha un grande significato che la Passione e la Resurrezione siano precedute dalla scena dell’Eucarestia: essa è la porta alla morte e alla resurrezione, nella quale entrambe hanno il loro reale inizio. Infatti, tanto la morte di Cristo quanto la sua resurrezione sono un processo, un divenire che non viene vissuto come un momento passivo dal Cristo – la morte di un uomo è solitamente un momento che viene subìto, non compiuto in modo attivo – ma un evento grandioso, un’azione che colma il tempo.
Nell’istituzione dell’Eucarestia ci troviamo di fronte a un mistero che impone una prova a chi voglia entrare nel tempio del grande Mistero del Golgota. Per chi non comprende in sé almeno una traccia del sacrificio e del cambiamento davanti all’immagine dell’Eucarestia, il Golgota e soprattutto la Resurrezione resteranno un sigillo impenetrabile.
Quando Cristo prese il pane e il vino e disse: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”, ebbe inizio, e fu un inizio reale, l’evento più significativo per l’anima che mai si sia realizzato sulla terra. Avvenne qualcosa con il pane e con il vino. Dopo le parole del Cristo, pane e vino erano diversi da prima. Fino ad allora il corpo fisico umano e il sangue che lo attraversava pulsando, il corpo e il sangue di Gesù, erano uguali al corpo e al sangue di Cristo. L’entità del Cristo, l’Io-Cristo, viveva al suo interno come ogni io-uomo vive nel proprio rivestimento terreno di corpo e di sangue. Pronunciando le parole che istituiscono l’Eucarestia, l’Io-Cristo estese la propria corporeità. Non fu più circoscritto entro i limiti della corporeità di Gesù, non si privò più della pienezza che gli fluiva dal cosmo, e iniziò a effondersi nel sacrificio, a scorrere nell’Essere della Terra rappresentato dal pane e dal vino che teneva fra le mani. L’anima e lo spirito del Cristo da allora in poi non sarebbero più vissute semplicemente nel corpo di Gesù, si donarono all’Essere della Terra nel vino e nel pane. E poiché da sempre ciò in cui vive l’anima di un essere viene chiamato il corpo di quell’essere, così il pane era realmente diventato il corpo di Cristo e il vino il suo sangue. Cristo aveva alzato il pane e il vino benedicendoli e in questo modo vi aveva unito la propria anima, come viene espresso nel rito della Consacrazione dell’uomo, il culto della Comunità dei Cristiani. Per questo l’Eucaristia quale dono sacrificale era il reale inizio della Passione e Morte del Cristo: il grande Offertorio comincia qui.
Ma era al tempo stesso l’inizio degli eventi che portarono alla Resurrezione. Ricordando le parole di Goethe: “Divien sacro il loco ove il buono pon l’orma” (Johann Wolfgang von Goethe, Torquato Tasso, atto I, scena I), si deve a maggior ragione dire: il luogo in cui si trovò il Cristo è sacro. Pane e vino si tramutano nel luogo in cui si trova il Cristo; ancor più, diventano l’involucro della sua anima, del suo spirito; divengono il recipiente delle forze celesti sulla terra. E in questo modo sono trasformati dall’interno, transustanziati. La luce dello spirito, che vive in essi, vi risplende attraversandoli. Occhi dello spirito potrebbero vedere un sole risplendere dall’ostensorio.

Nella resurrezione il processo di transustanziazione si dispiega pienamente. Resurrezione e transustanziazione sono un unico, identico mistero. Chi comprende la transustanziazione, la trasformazione del pane e del vino, comprende anche la resurrezione di Cristo, e viceversa. La perdita di un’autentica comprensione della transustanziazione come reale processo spirituale è una delle più grandi tragedie nell’evoluzione spirituale dell’umanità. Quando l’umanità cominciò a oscillare fra una visione dell’Eucarestia grossolanamente materialistica e una astrattamente vuota, entrò nell’epoca del materialismo e dell’astrazione anche rispetto a tutte le questioni della visione del mondo. Una comprensione rinnovata della transustanziazione e della resurrezione ci permetterà anche di superare con forza il materialismo, aprendo la strada a una nuova comprensione del Vangelo e a un cristianesimo spirituale.
La resurrezione di Cristo era la transustanziazione del corpo fisico nel quale per tre anni l’essere animico-spirituale del Cristo aveva abitato. Ciò che con la transustanziazione era irraggiato dal pane e dal vino come corporeità di luce del Cristo, avanzava ora incontro agli apostoli quando guardavano il Risorto.
La materia del corpo fisico che aveva portato il Cristo si era decomposta ed era stata assorbita dalla terra come ogni sostanza terrena. La stessa cosa accade quando nell’Eucarestia il pane e il vino, dopo la trasformazione, vengono mangiati e bevuti. Si può dire che solo attraverso la distruzione della mera sostanza fisica venga completato il processo di trasformazione, con la nascita della figura corporea di luce. Il corpo terreno muore. Il corpo di resurrezione rinasce.
Dal processo di trasformazione, che è l’altro lato del grande sacrificio del Cristo e che dall’Eucarestia porta fino alla Resurrezione, sorge un evento spirituale, invisibile sulla terra, a occhi terreni, ma che cresce in modo vivente: il corpo di resurrezione del Cristo, il corpo di luce della nuova Terra si edifica a partire da tutto ciò in cui può riversarsi l’anima-Cristo dalle anime umane che Egli compenetra.
Chi nel Vangelo ripercorre in modo vivente la scena dell’Eucarestia, riceve in sé attraverso l’esperienza del sacrificio di Cristo, del suo morire nell’Essere della Terra, la capacità di capirne la Passione e la Morte; attraverso l’esperienza della trasformazione, del corpo di luce irradiante del Cristo, riceve in sé la capacità di capirne la Resurrezione. Il senso dell’Eucarestia, come della messa cristiana, è che nel sacrificio e nella trasformazione l’anima, la parte mediana dell’essere umano, ha la possibilità di accostarsi al grande processo spirituale cosmico della morte e resurrezione del Cristo che procede lungo i secoli. L’Offertorio nell’atto sacramentale sull’altare è un’occasione privilegiata per incontrare il Cristo che si offre in sacrificio. La trasformazione che segue l’Offertorio è l’occasione per incontrare il Cristo che risorge.
Così è offerta la chiave per entrambe le vicende della Pasqua che si trovano alla chiusura del vangelo di Luca. È sufficiente un breve riassunto, perché qui ci interessa essenzialmente la questione dei miracoli.
Ai due discepoli sulla via di Emmaus si unisce una terza figura che essi vedono e ascoltano, senza riconoscerla. Quando scende la sera, entrano in una casa. Su loro invito li segue il terzo viandante, che aveva mostrato di voler proseguire. Nella casa si svolge una cena. Il pane viene levato con le parole di benedizione che durante la vita trascorsa sulla terra insieme ai discepoli il Cristo aveva pronunciato sul pane, unendovi la propria anima. Quando i discepoli compirono quella santa azione la sperimentarono come se fosse stata celebrata dal Cristo stesso. E nell’esperienza della trasformazione, riconobbero immediatamente la terza figura che li aveva accompagnati sulla via di Emmaus.
Per avere una rappresentazione esatta di questo riconoscimento, si può dire in questo modo. All’esterno il sole fisico è tramontato, per questo si sono fermati nella casa. Ora i discepoli alzano il pane nel semplice, santo gesto di spezzarlo. Dal pane risplende allo sguardo delle loro anime un sole spirituale nella cui luce irraggiante vedono il volto, il corpo del Cristo risorto. In questa comunione con il Cristo, unendo a lui il proprio essere, diviene loro chiaro come colui che avevano visto e ascoltato lungo la via fosse il Cristo. Nell’esperienza dell’Eucarestia, della trasformazione, i due discepoli incontrano Colui che risorge. Nel Mistero dell’Eucarestia è racchiusa la prima delle due gemme pasquali.
Si è diffusa una certa grossolanità nell’interpretazione. Lutero tradusse il passo in cui i due discepoli raccontano la loro esperienza agli altri discepoli in questo modo: “Essi raccontarono loro … come non l’avessero riconosciuto fin quando non spezzò il pane”. “Quando spezzò il pane” è una traduzione errata che suscita una rappresentazione distorta, come se lo sconosciuto, poi riconosciuto, fosse un essere umano del quale infine si erano ravvisati gesti e movimenti. Il terzo viandante era più nel pane che nella mano che lo spezzava. Il passo andrebbe quindi tradotto: “quando egli si manifestò spiritualmente nell’atto di spezzare il pane”.
Quale sia il carattere dell’intera scena come accadimento spirituale ed esperienza lo indica chiaramente un passaggio che in un’interpretazione materiale rimane privo di significato: “Egli fece finta di voler proseguire” (Luc. 24,28).
Vi scorgiamo un parallelo con la scena del Cristo che cammina sulle acque: “…andò verso di loro, camminando sul mare, e voleva passar loro accanto” (Mar. 6,48). Tali dettagli sono importanti per la tecnica che ci consente di riconoscere processi soprasensibili. Quando un’anima incontra un essere spirituale, troverà sempre movimenti fluttuanti che gli sono propri. Tutto dipende dall’attività dell’anima e da quanto lontano può arrivare in un incontro e in un’unione con quell’essere; detto altrimenti: quanto riesce a fermare l’esperienza. Troppo spesso la figura spirituale del Cristo passa accanto all’anima di un uomo senza che questi possieda la forza di incontrarlo. Nelle due vicende, quella in cui il Cristo cammina sulle acque e quella in cui appare a Emmaus, si può riconoscere lo stesso fatto: quando l’uomo non è in grado di far entrare il Cristo nella sua barca o nella sua casa, allora il Cristo gli passa accanto. Ci si manifesta qui una legge fondamentale della reale esperienza soprasensibile.
(Quanto sia lontano l’attuale modo di pensare dalla possibilità di comprendere fenomeni spirituali archetipici, lo dimostra una citazione del Commentario di Johannes Weiss, più volte ricordato: “Un po’ enigmatica rimane l’osservazione che Gesù camminando sull’acqua intendeva passar loro accanto. Il brano forse non intende dire nulla di più se non che Gesù aveva in mente proprio di camminare accanto al battello, quando i discepoli lo videro”.)

Il secondo racconto della Pasqua alla fine del vangelo di Luca è uno dei brani del Vangelo che ha suscitato più domande. La descrizione di come il Risorto di fronte ai discepoli mangi pesci arrostiti ha confuso quanti propendevano per una spiegazione spirituale della resurrezione e forse li ha fatti dubitare della possibilità di stabilire un rapporto con la resurrezione da uomini pensanti.
La scena diviene però comprensibile se viene osservata a partire dal mistero eucaristico e come esperienza eucaristica dei discepoli. Ogni volta che si compie realmente il sacramento ci si ciba due volte: una volta sul piano fisico-sensibile, attraverso l’uomo nella comunione; una volta in modo spirituale-fisico, attraverso il Cristo nella transustanziazione. Cristo è presente spiritualmente nel corpo di luce, nel corpo di resurrezione. Quando vengono offerti pane e vino, i doni della terra, Cristo li accoglie nel suo corpo di luce, li rende sua parte integrante. Pane e vino diventano corpo e sangue del Cristo perché egli li unisce al suo corpo di luce e, attraverso il sole interiore della sua corporeità di luce, li porta a irraggiare nello spirito. Come mangiando e bevendo l’uomo incorpora il cibo e la bevanda, così incorpora Cristo nella trasformazione di pane e di vino.
La trasformazione, la transustanziazione, significa mangiare e bere il Cristo. Cristo accoglie pane e vino nel proprio corpo e nel proprio sangue. Nel processo immaginativo questo cibarsi da parte del Cristo è l’opposto di quello umano: nel cibarsi da parte dell’uomo lo sguardo dei sensi vede entrare il cibo in colui che mangia; nel cibarsi da parte del Cristo possiamo raffigurarci Colui che mangia come figura di luce, come sole spirituale che entra nel cibo. Nella visione immaginativa, però, il cibarsi da parte del Cristo viene percepito così come i discepoli lo percepirono nella scena descritta alla fine del vangelo di Luca, quando sembrò loro uguale al cibarsi umano. I discepoli vissero la trasformazione del cibo da loro offerto al Cristo come se egli se ne fosse cibato. La trasformazione avvenuta nel cibo e realmente percepita, la sperimentarono come se il cibo fosse nel Cristo. Non è sbagliato immaginare che il cibo offerto al Cristo, più tardi, dopo che lo ebbe mangiato di fronte ai loro occhi, venisse mangiato, ricevuto dai discepoli nella comunione più santa. Sarebbe una contraddizione solo in una visione materialistica.
Quanto più una reale e intima esperienza eucaristica diviene nuovamente vivente fra noi attraverso un rinnovamento della vita sacramentale, tanto più ci sembrerà conosciuto e familiare il Vangelo che ci parla del cibo del Risorto.
Solo in un’epoca che non ha più una liturgia, in cui è presente solo il culto dogmatico-antispirituale, e quindi in effetti incomprensibile, della Chiesa di Roma, può apparire enigmatico o addirittura scandaloso un racconto della Resurrezione. Nell’Eucaristia la trasformazione del pane e del vino e` il cibo di Cristo, prima che con il pane e il vino sia celebrato nella comunione il cibo dell’uomo.
Alla radice di ogni miracolo nel Vangelo vi è un mistero attraverso il quale soltanto il miracolo può essere conosciuto e compreso intuitivamente. Ogni volta si tratta di un mistero diverso. Nel miracolo di Cristo che cammina sulle acque vi è – per dirlo con una sola parola – il mistero del sonno; alla base dei miracoli nei racconti della Pasqua alla fine del vangelo di Luca vi è il mistero della transustanziazione. Troviamo la via al Vangelo se acquisiamo di nuovo una visione del mondo nella quale i misteri come quelli del sonno e della transustanziazione ci siano noti e familiari. La concezione del mondo del Vangelo e quella usuale nella nostra epoca sono abissalmente distanti l’una dall’altra. Non vi è quindi da meravigliarsi che l’odierna concezione del mondo non comprenda il Vangelo o lo interpreti in modo errato. Una dopo l’altra le domande sulla visione del mondo troveranno una risposta se saranno rimosse le macerie del materialismo che ricoprono il Vangelo. Queste considerazioni intendono contribuire a rimuovere quelle macerie, ad acquisire la visione del mondo del Vangelo.
da ArteMedica n.45