L’antroposofia e il futuro della ragione

Per parlare di scienza e di antroposofia con qualche possibilità di esito positivo, sono necessari alcuni chiarimenti. Il presente articolo può quindi essere inteso come contributo propedeutico per un corretto approccio alla materia. Di Karl-Martin Dietz

 

Che cosa significa realmente scientificità?
Tanto i critici quanto i sostenitori di una “scientificità dell’antroposofia” non si chiedono perché sia importante che l’antroposofia sia o non sia compatibile con la scienza, ignorando addirittura la domanda. L’esigenza di scientificità nasce forse dal bisogno di sicurezza in una concezione del mondo adeguata ai modelli correnti di pensiero? Chi la solleva si pone già su un terreno pericoloso, a partire dalla questione se gli sia chiaro o no che cosa intenda come “scienza”. In effetti, non vi è in proposito alcuno standard accettato da tutti. Almeno altrettanto incerta è la base per la comprensione dell’antroposofia, la quale in ogni caso non è “quasi nulla di ciò che suppone che sia chi non la conosce” (Rudolf Steiner, Die Ergänzung heutiger Wissenschaften durch Anthroposophie, 15.10.1918, O.O. 73).
Per parlare di scienza e di antroposofia con qualche possibilità di esito positivo, sono necessari alcuni chiarimenti. Il presente articolo può quindi essere inteso come contributo iniziale.
Un aneddoto narra che un giorno, una ragazza trace, mentre si trovava a Mileto, scorse in fondo a un pozzo il filosofo Talete. Immaginando che vi fosse caduto a causa della sua distrazione, iniziò a prenderlo in giro(1). Alla ragazza non venne certo in mente che egli potesse essere disceso intenzionalmente nel pozzo, magari per poter osservare il cielo senza essere disturbato da altre luci. “Ragazze” del genere esistono ancor oggi e non vengono necessariamente dalla Tracia. Similmente divertite dal piacere della derisione, in realtà ridicole esse stesse, avanzano oggi critiche alla “scientificità” di Rudolf Steiner. Neppure loro si chiedono il possibile significato dell’inconsueto.
Qui finisce il parallelo. Alla fanciulla dell’aneddoto non si può certo imputare alcun comportamento scorretto. Non era tenuta a conoscere l’opera di Talete, né le sue ricerche in campo astronomico. Gli odierni critici però calpestano i propri criteri di scientificità quando, per ignoranza o disinteresse, dichiarano inadeguato quel che non si adatta immediatamente alla loro visione del mondo.
Su questo tema, a proposito di un capitolo della biografia di Rudolf Steiner scritta da Heiner Ullrich, si è espresso con chiarezza Johannes Kiersch: Ullrich ignora il confronto di Steiner con la questione della conoscenza scientifica, in particolare nella conferenza del 1911 tenuta durante il Congresso internazionale di filosofia a Bologna (O.O. 35) e nello scritto Enigmi dell’anima del 1917 (O.O. 21)(2). Alcune critiche alla scientificità di Rudolf Steiner partono inoltre da un concetto superato di scienza e tralasciano gli importanti sviluppi degli ultimi decenni (Ullrich ricava i propri criteri da una pubblicazione del 1938 [Bachelard]). Altri – come, ad esempio, H. Zander(3) – accanto a informazioni oggettivamente sbagliate, presentano grossolani difetti di metodo. Di questo si sono già a fondo occupati Karen Swassjan(4) e Lorenzo Ravagli(5). Proprio nella seconda metà del XX secolo, nel modo di intendere la “scienza” si sono registrate “rivoluzioni” che, fino a oggi, si sono solo parzialmente realizzate(6). Questo vale, ad esempio, per la necessità, quale conseguenza della fisica quantistica, di pensare in modo nuovo la causalità, e anche l’insicurezza del tutto nuova su che cosa sia da considerare “fatto scientifico”(7). Va ricordato anche il suggerimento del filosofo Kurt Hübner di ampliare il pensare scientifico attraverso un pensare “mitico” (8).  Anche se alcuni di questi esordi si sono rivelati poco più che tentativi alla cieca, hanno nondimeno indicato come empirismo e razionalità non siano più assolutamente sufficienti quali pilastri fondamentali della conoscenza scientifica(9).
Il mutamento di paradigmi che si profila da decenni nella teoria della scienza (Popper, Kuhn, Feyerabend) viene di solito ignorato dai pensatori steineriani, benché il lato problematico dell’intelletto contemporaneo sia attualmente da molti posto in primo piano, in quanto provoca gravi problemi di natura tecnica, ecologica e sociale. Prima di ogni valutazione si deve però capire come il pensiero scientifico sia arrivato alla sua condizione attuale. In tal senso, una questione di fondo è come la razionalità si comporti nei confronti del sopra-razionale (intuizione, esoterismo, noetica ecc.).

L’origine della razionalità
Alla luce di una coscienza storica, quelle che dall’inizio dell’epoca contemporanea sono considerate contrapposizioni polari – come, ad esempio, intuizione da un lato e logica dall’altro – rimandano a un’origine comune(10). Platone ci offre alcune indicazioni essenziali. Nel suo Repubblica, egli distingue due modalità di pensiero: noesis e dianoia. Dianoia, pensare dell’intelletto, è orientata al mondo dei sensi e parte da presupposti (assiomi); suoi oggetti sono di preferenza la matematica e la geometria. Noesis al contrario si muove nella sfera del pensabile (noeton) senza ricorrere all’empirismo dei sensi; nella noesis si trova quindi l’origine della razionalità. Gli “oggetti” della noesis non sono misurabili, ponderabili, percepibili, vale a dire non hanno un’esatta grandezza, massa o colore. Se, ad esempio, il concetto “cerchio” è “oggetto”della dianoia, è però la “rotondità” l’idea che ne è alla base. Questa si sottrae per sua natura alla quantificazione, alla matematizzazione e a una deduzione empirica; e quindi anche a una definizione vera e propria.
Aristotele conosceva in egual modo entrambi i tipi di pensiero. In lui il nus (spirito, fondamento della noesis) garantiva l’esattezza del pensare logico (episteme). Infatti, solo questo poteva anche sbagliare(11). Ne derivano conseguenze per la prassi conoscitiva: “Errore nell’ideazione è quando non si sa di che cosa cercare o non cercare una dimostrazione. È impossibile, infatti, che vi sia una dimostrazione per tutto, perché altrimenti si entrerebbe in una progressione all’infinito, e ugualmente mancherebbero dimostrazioni”(12). Parole attuali anche oggi.
Per Tommaso d’Aquino, cinquecento anni più tardi, l’intellectus (versione latina del greco nus) rende possibile l’ampliamento della conoscenza alla sfera spirituale-divina, fino alla visione di Dio, fino alla “beata unione dell’intelletto creato con l’increato spirito”(13). D’altra parte inizia con Tommaso la diffusione di un concetto di verità che si avvia a una corsa trionfale. La teoria della corrispondenza della verità afferma in sintesi: vero è un pensiero quando corrisponde a un fatto empirico. Criterio di misura è quindi il “fatto” (sulla cui realtà oggi si deve di nuovo riflettere a fondo, si vedano i precedenti riferimenti a Fleck e Kuhn). Il pensiero si adatta al fatto. In quanto tale, esso è presente solo nello spirito dell’uomo. Per Tommaso è comunque solo metà della verità. Secondo lui l’adeguamento procede in due direzioni: “La verità è originariamente nello spirito (in intellectu), in un secondo momento nelle cose (in rebus), purché queste siano riferibili allo spirito quale loro origine (principium)”. La verità per Tommaso è dunque non solo nello spirito ma anche nelle cose, in quanto conformi allo spirito che ne è l’origine. Per la concezione moderna l’atto spirituale è subordinato alla cosa e dipende da essa. Essendo la verità nello spirito (in intellectu) per Tommaso è manifestazione dell’essere e in quanto è nelle cose, consiste nella somiglianza con l’origine (similitudo principii). “L’affermazione però che la verità sia adattamento di cose e di spirito veritas est adaequatio rei et intellectus) può far parte di entrambe le concezioni”(14).
Per Tommaso l’intellectus offre, oltre a una propria sfera di conoscenza (mondo spirituale, Dio), anche la comprensione dei principi del conoscere e agire dell’uomo. Viene quindi individuata la ragione (ratio) come facoltà dello spirito umano rivolta da un lato all’intelletto e dall’altro al mondo sensibile che rende possibile l’astrazione e la formazione del concetto(15). Queste rappresentano la nuova concezione della scienza in cui l’aspetto creativo dell’intellectus non gioca più nessun ruolo. Nel cammino vittorioso del nominalismo, iniziato già al tempo di Tommaso, l’intellectus/nus viene formalizzato, devitalizzato e depotenziato. La possibilità di conoscere l’essenza è posta in dubbio(16). Tommaso stesso risolse questa difficoltà attraverso la distinzione di tre piani della concettualizzazione:

  1. il suo potenziale creativo (gli universali sono nello spirito di
    Dio, intellectus divinis: ante res),
  2.  la sua presenza nell’essere
    delle cose create (in rebus) e
  3. la sua funzione nell’intelletto conoscente (post res). Il nus si trova quindi – in altrettanti modi diversi – nel regno delle idee creatrici, nelle cose del mondo sensibile e nella coscienza dell’uomo. Dopo Tommaso, questa differenziazione andò perduta. A partire da Roscellino, Abelardo e Ockham i concetti sono soltanto prodotti dello spirito umano (post res). Con la svolta nominalista esso si vede
    rimandato a se stesso. Per reazione, l’uomo si concepisce sempre
    più come individuo e soggetto autonomo(17).

Il concetto di ragione (nus/intellectus) si trasforma nella storia della coscienza occidentale attraverso numerosi stadi. Nus/intellectus si riferisce in un primo tempo al mondo delle idee e alla ragione rivolta alle realtà cosmiche, divine; anch’esso è di natura divina. Diviene poi ragione creata, ma sempre orientata all’essere e all’essenza. In seguito l’intellectus si presenta radicalmente soggettivato; come conseguenza nascono da una parte l’empirismo e dall’altra una nuova filosofia della ragione (rationalismus), che dal XVII secolo si trovano in un fondamentale conflitto(18). Al contempo, nel XVIII secolo attraverso l’ermetismo, con la massoneria si inserisce un forte movimento contrario. Con Kant, infine, il pensiero umano arriva al confine della realtà: “Così quella concepita da Kant è una ragione complessivamente depotenziata: è comunque autonoma e si dà proprie leggi, la legge della libertà e la legge della natura. Attraverso l’autoriflessione è in grado di cogliersi nella propria finitezza e di esplicitarla, e pensa Dio, l’anima e il mondo come idee necessarie e regolatrici, ma non può più conoscerle: arriva ai confini del mondo, ma non più direttamente al divino. Nella visione della sua più alta espressione teorica è diventata una ragione del limite: ragione di frontiera”(19). (Per caratterizzare con più precisione il punto di contatto fra ‘antropologia’ [dianoia] e ‘antroposofia’ [noesis], Steiner nel libro Enigmi dell’anima [O.O.21] introdusse il concetto di ‘rappresentazione del limite’. Questo non viene portato a conoscenza dai ‘critici’). Un tempo il pensiero era l’organo che garantiva la realtà, ora serve solo come strumento: è ridotto a una procedura. Con questa premessa, quando ci si confronta con un pensiero noetico, pieno di contenuto, questo appare come “a-scientifico”. Una ridotta capacità visiva “a tunnel” determina una limitazione: si trovano solo le uova pasquali che si sono nascoste. In conclusione: la ragione ha perso il carattere di autonoma fonte di conoscenza ed è diventata uno strumento per raggiungere il consenso(20).

Intellectus e Ratio oggi
Con i lavori di Einstein, Heisenberg, Bohr e altri si è giunti a una “crisi della scienza moderna”, non solo a un disagio rispetto agli effetti che ne derivano(21).  Nella conoscenza scientifica sono andate perdute perfino realtà concrete e razionalità. “La via verso le nuove rappresentazioni era perciò oltremodo dura e penosa, e doveva essere aperta di nuovo da ogni novizio. Neppure gli scopritori della nuova fisica e della meccanica quantistica, Planck e Einstein che per questo furono insigniti con il premio Nobel, erano pronti a percorrere fino in fondo questa via. […] Spettava ai soci più giovani di allora – Werner Heisenberg, Paul Dirac, Wolfgang Pauli e altri, fra loro anche il venerato maestro di Copenaghen Nils Bohr – portare la nuova visione del mondo in una struttura consistente e, in senso moderno, convincente. A un’attenta considerazione, però, solo pochi di loro hanno colto l’occasione dell’‘Interpretazione di Copenaghen’, nata dalla meccanica quantistica, per rivedere la loro rappresentazione della realtà”(22). Si tratta, secondo Dürr, di riuscire“a riconoscere di nuovo la dimensione spirituale della nostra esistenza”: “Non vi è alcuna materia!” Infatti “se scomponiamo sempre di nuovo la materia, alla fine non rimane più nulla che ce la ricordi. In conclusione, non vi è più alcuna sostanza, solo forma, struttura, simmetria, relazione. La materia non è composta di  materia!” Così Dürr può definire la materia come ‘spirito rappreso’(23).

Recupero di un’empiria noetica
Si può considerare il contributo di Rudolf Steiner entro questa aporia dell’evoluzione della coscienza. Steiner si prefiggeva di ridare valore all’empiria noetica andata perduta nella storia del pensiero, all’esperienza dello spirito agente (nus) e di rendere possibile al pensiero umano lo sviluppo di capacità oltre i limiti della razionalità. E in senso inverso: che il nostro pensare impregnato di razionalità lasciasse trasparire la propria origine spirituale (noetica). Al tempo stesso Steiner riprese l’aspetto creativo che si trova nella conoscenza della “realtà”. Così già in Verità e scienza (1892):
“Il risultato di questa ricerca è che la verità non è … il rispecchiamento nell’idea di un qualche elemento reale, ma un libero prodotto dello spirito umano, che non esisterebbe in nessun luogo se noi stessi non lo producessimo. Il compito della conoscenza non è: riprodurre in forma concettuale qualcosa già presente altrove, ma: creare un ambito completamente nuovo che solo insieme alla realtà data dai sensi restituisca la realtà completa”(24).
In forma altrettanto incisiva si espresse dieci anni dopo in una conferenza: “L’uomo non deve solo in qualche modo riprodurre la natura, ma vedere se in sé risiedano forze che lo portino oltre il dato immediato”. Una tale concezione “non toglie valore alla scienza”, si eleva però oltre “quelle che la scienza presenta come leggi del pensiero logico”(25). Questo punto di vista si estende per tutta l’opera di Rudolf Steiner. Le sue osservazioni servono di stimolo a ogni atto proprio, individuale, creativo di conoscenza e di volontà (intuizioni), non come direttiva sistematica o asserzione di fatti. Nell’ascoltatore o nel lettore non devono trovare una reazione alle idee contenute (accettazione o rifiuto), ma stimolare un’attività produttiva individuale. L’antroposofia “vuole essere stimolo a una particolare visione del mondo”(26). Essa non si appella a una “fede nell’autorità”, ma alla “verifica intellettuale” del singolo ascoltatore o lettore(27). Concezioni autonome e verifiche individuali sono i tratti caratteristici dell’antroposofia. Qui non si tratta di sistemi, di modelli o di teorie, ma di un recupero della  dimensione noetica attraverso l’uomo divenuto individuale.
Così non stupisce che Steiner in molte occasioni abbia sottolineato il significato del pensare per la ricerca spirituale antroposofica. In sintesi possono essere distinti quattro aspetti:
1. Il pensare logico è autoeducazione all’autonomia.
2. Serve a comprendere e ad accompagnare in modo critico la comunicazione dei risultati della ricerca soprasensibile.
3. La logica non perde il suo significato neppure quando l’uomo si trova nella sfera della “visione”. Il pensare autonomo sostituisce il guru.
Ancora oggi – per Platone, Aristotele o per Tommaso era del tutto ovvio – il pensare indica al di là di sé le proprie fonti (creatività, intuizione e così via).(28)

Compiti per il futuro
Da tutto questo scaturiscono compiti per il futuro.
Sarebbe inappropriato misurare l’antroposofia con il metro della tradizionale concezione della scienza e dunque della dianoia/ratio. Il suo scopo dichiarato è portare il nus (intellectus), andato perduto nella storia del pensiero, a ricongiungersi con il pensare razionale. Volerla comprendere con un pensare puramente dianoico, sarebbe quindi sbagliato (‘errore nell’ideazione’). Questo sforzo assomiglierebbe, infatti – per usare un’espressione di Odo Marquard – a una melanconica dimostrazione che si può essere allegri. Il pensare dianoico può solo fornire prove e aiuti alla comprensione. La sua formazione del concetto è euristica(29). D’altronde in questo risiede la sua forza. Un aspetto che diverrà ancora più chiaro di quanto non lo sia adesso.
D’altra parte sarà d’ora in poi ancor più necessario comprendere l’attuale carattere di “scienza” e scoprirne i confini. L’antroposofia allora non sarà qualcosa di Altro, strano e incomprensibile, ma un “metodo sperimentale (Rudolf Steiner) per muoversi adeguatamente ai confini dell’ambito scientifico.
Il presupposto è comunque includere l’evoluzione storica della coscienza. A questo Rudolf Steiner attribuì un grande valore. Quasi in ognuna delle sue conferenze si trovano riferimenti storici a eventi del presente. Apparentemente questo interesse non si è trasmesso a una gran parte dei suoi ascoltatori e lettori. Ma senza ampliare la visione storica, non si arriva neppure alla comprensione della “scienza”.
Vi è poi dell’altro ancora. Nel periodo antecedente alla differenziazione storica fra noesis e dianoia, scienza e arte erano a mala pena distinguibili una dall’altra. Solo nell’età moderna si trovano contrapposte. L’evoluzione attuale va di nuovo verso un incontro che integri le due sfere. Il contributo dell’antroposofia come “caratteristica visione del mondo” e come “metodo sperimentale” andrebbe in tal senso messo in evidenza.
Con particolare insistenza si chiede da una parte la “trasposizione pratica” dell’antroposofia, e dall’altra l’“impianto teorico” del suo campo d’azione. Che entrambe le richieste siano mal poste fin dall’inizio, appare ora evidente. L’antroposofia non può essere “trasposta”; ma chi ne accoglie l’impulso può realizzare in situazioni concrete iniziative proprie, nate da un’individuale “fantasia morale”. Così si formano nella collaborazione sociale “campi d’azione antroposofici”. Non hanno alcuna cornice teorica predefinita, ma vivono delle azioni individuali di coloro che vi partecipano.
“La scienza non è certo un segno di sapienza, ma neppure di ignoranza”(30)

da ArteMedica N. 43

Note

1) «[Talete], mentre studiava gli astri e guardava in alto, cadde in un pozzo. Una graziosa e intelligente servetta trace lo prese in giro, dicendogli che si preoccupava tanto di conoscere le cose che stanno in cielo, ma non vedeva quelle gli stavano davanti, tra i piedi. La stessa ironia è riservata a chi passa il tempo a filosofare […] provoca il riso non solo delle schiave di Tracia, ma anche del resto della gente, cadendo, per inesperienza, nei pozzi e in ogni difficoltà». (Platone, Teeteto, 174 a.C.)

2) Johannes Kiersch, “Beruht Waldorfpädagogik auf Wissenschaft?”, in: Erziehungskunst, febbraio 2011

3) Helmut Zander, Anthroposophie in Deutschland. Theosophische Weltanschauung und gesellschaftliche Praxis 1884–1945, Göttingen 2007

4) Karen Swassjan, Aufgearbeitete Anthroposophie. Bilanz einer Geisterfahrt, Dornach 2007

5) Lorenzo Ravagli, Zanders Erzählungen. Eine kritische Analyse des Werkes Anthroposophie in Deutschland, Berlin 2009

6) Hans-Peter Dürr, Geist, Kosmos und Physik. Gedanken über die Einheit des Lebens, Amerang 2010

7) Ludwik Fleck, Entstehung und Entwicklung einer wissenschaftlichen Tatsache. Einführung in die Lehre vom Denkstil und Denkkollektiv (1935), Frankfurt 1980; Thomas S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino 2009

8) Kurt Hübner, Kritik der wissenschaftlichen Vernunft, Friburgo/Monaco 1978; Kurt Hübner, La verità del mito, Milano 1990

9) Karl-Martin Dietz, Die Suche nach Wirklichkeit, Stoccarda 1988

10) Karl-Martin Dietz, Metamorphosen des Geistes, voll. I-III, 1989-1990

11) Aristotele, Analitici secondi. Organon IV, II 19

12) Aristotele, Metafisica, 4.4

13) Tommaso d’Aquino, Compendium theologiae, Cap. 36

14) Tommaso d’Aquino, Summa theologica, 1 15; sul concetto di verità in Tommaso si veda di K.M. Dietz, Die Suche nach Wirklichkeit, già citato

15) Hans Michael Baumgartner, “Wandlungen des Vernunftbegriffs in der Geschichte des europäischen Denkens”, in: L. Scheffczyk (a cura di), Rationalität, Friburgo 1989

16) Ibidem

17) K.M. Dietz, Die Suche nach Wirklichkeit; e Hans Michael Baumgartner, “Wandlungen des Vernunftbegriffs in der Geschichte des europäischen Denkens”, op. cit.

18) Ibidem

19) Ibidem

20) Ibidem

21) Richard Tarnas, Idee und Leidenschaft, Monaco 1999

22) Hans-Peter Dürr, Geist, Kosmos und Physik, op. cit.

23) Ibidem

24) Rudolf Steiner, Verità e scienza – Proemio di una filosofia della libertà – O.O. 3, Ed. Antroposofica, Milano

25) Rudolf Steiner, Über Philosophie, Geschichte und Literatur, O.O. 51, 7.5.1902 – Rudolf Steiner Verlag, Dornach

26) Rudolf Steiner, Das Schicksalsjahr 1923 in der Geschichte der Anthroposophischen Gesellschaft. Vom Goetheanumbrand zur Weihnachtstagung, O.O. 259, 20.1.1923 – Rudolf Steiner Verlag, Dornach

27) Rudolf Steiner, Le conferenze di Milano, O.O. 130, 21.9.1911 – Ed. Antroposofica

28) Per un’introduzione a questi quattro aspetti si veda: Karl-Martin Dietz, Esoterik verstehen, Stoccarda 2008

29) Christian Rittelmeyer, “Gute Pädagogik – fragwürdige Ideologie?”, in: Waldorfschule heute, a cura di Peter Loebell, Stoccarda 2011

30) Rudolf Steiner, Il vangelo di Giovanni, O.O. 103, 23.5.1908 – Ed. Antroposofica