Nella maggior parte dei nostri disturbi c’è una disarmonia che si esprime anche con una ripartizione del calore distorta, ed è proprio su questo punto che ci si sofferma con la pratica del Bagno in Dispersione Oleosa.
Ma in che cosa consiste e come agisce il Bagno in Dispersione Oleosa?
Per prima cosa abbiamo l’acqua che rappresenta un elemento primordiale alla base di tutti i processi viventi e degli scambi; dall’altra l’olio che è uno strumento prezioso di concentrazione del calore. Nel momento in cui quest’olio disperso nell’acqua entra in contatto con la pelle, tende a rilasciare questo calore stimolandone la produzione dall’interno dell’organismo
Grazie a un particolare apparecchio è possibile mescolare olio e acqua senza usare emulsionanti chimici o biologici; l’apparecchio è in grado di metterli in contatto in maniera così stretta da formare un’emulsione stabile. L’olio curativo viene infatti aspirato da un beccuccio mediante la pressione negativa creata da un vortice d’acqua che si crea all’interno dell’apparecchio.
Questa forma terapeutica si è andata sviluppando in tutto il mondo ed è utilizzata in ambito sanitario presso diverse strutture pubbliche e private nel Nord Europa fin da quando, nel 1937, W. Junge ideò per primo questo strumento, sviluppando un’indicazione che Rudolf Steiner fornì in una conferenza per medici del 3 aprile 1920 a proposito della cura del diabete. In essa si invitava a rafforzare l’Io indebolito nella digestione e nel ricambio mediante l’utilizzo di una sostanza ad esso affine: l’olio, che la pianta produce nella zona del fiore più esposta al sole. Quest’olio doveva essere finemente disperso nell’acqua per farne una balneoterapia curativa.
L’esperienza di una paziente (S.M.)
Fare il bagno in dispersione oleosa (il mio era alla salvia e poi alla rosa) è un’esperienza molto complessa, che riguarda in egual misura il corpo e l’anima. Da un punto di vista sensoriale e fisico è molto gratificante, perché si viene immersi in quest’acqua calda ma non troppo, con una persona che si prende cura di te. Nella vasca mi sono rilassata all’istante, galleggiando in questo profumo e abbandonando la tensione e il freddo. Già da dentro la vasca mi ricordo che avevo iniziato a sprofondarmi in me stessa, stimolata dall’ambiente raccolto e avvolgente. Sul lettino, avvolta in pannicelli caldi, in penombra, per me che soffrivo di vampate, è stato un momento di grande benessere. Alleviati i dolori del corpo, a quel punto l’involucro corporeo è a posto e viene fuori l’anima con le sue pene. Il giorno in cui facevo questi bagni, tornando a casa, dovevo poter trascorrere una giornata quieta e raccolta.
Fin dal primo bagno ho approfondito un percorso interiore già iniziato da sola, ma più superficialmente, portandolo avanti per due cicli di sette bagni, con enorme beneficio sia fisico per il mio cronico senso di freddo che animico e spirituale.
E’ proprio come se aderendo a questo processo di cura fossi riuscita a curare anche il mio essere metafisico, perché attraverso la cura fisica del corpo si approfondisce il contatto con l’io più profondo, che ne viene facilitato. Volevo anche dire che questo effetto permane anche dopo un anno e mezzo.
Gli ultimi tre bagni alla rosa sono stati un’apoteosi: come se l’essere metafisico fosse presente e preponderante. E’ un rischio, come un’estasi mistica: poi è faticoso tornare con i piedi per terra e fare la spesa. Per questo è fondamentale poi una fase i silenzio in cui non si è subito costretti a entrare in contatto troppo bruscamente col mondo.
L’esperienza del ‘tecnico’, l’infermiere Dante Merlini
Quando, nel 1993, conobbi per la prima volta l’ideatore e inventore del bagno in dispersione oleosa Werner Junge e sua moglie Franziska, ne fui così entusiasta che la mia vita professionale ebbe una svolta significativa: mi sarei dedicato a sviluppare e a far conoscere questa pratica terapeutica in Italia.
Ora vorrei descrivere quale è l’atteggiamento interiore di chi accoglie un paziente che si avvicina a questa cura idroterapica.
La maggior parte delle volte il medico curante consiglia al suo paziente di sottoporsi a un ciclo di bagni in dispersione oleosa e quando la persona mi si presenta ho cura di informarla e rassicurarla intorno a quello che le sta succedendo; la prima volta non amo dilungarmi in descrizioni troppo tecniche, proprio per permettere al paziente di fare un’esperienza sensoriale ed emotiva la più spontanea possibile.
Innanzi tutto faccio in modo che l’ambiente che circonda il bagno sia accogliente, caldo, discreto con quella intimità che permette di aprirsi verso se stessi. Prima dell’immersione vera e propria verifico i parametri vitali (pressione, polso e temperatura sublinguale) e preparo la vasca con l’olio specifico, avvalendomi di un apparecchio di vetro che miscela acqua e olio, detto apparecchio di Junge. Nell’acqua la persona deve sentirsi a suo agio, non sentire troppo caldo o freddo (c’è chi si rilassa subito e chi invece mantiene ancora un atteggiamento di difesa, che spesso cade dopo la prima volta, quando si è più coscienti di tutta la procedura). Dopo una decina di minuti effettuo un massaggio subacqueo con spazzole apposite per favorire la reazione cutanea e rilevo quindi una seconda volta la temperatura sublinguale per vedere se c’è già stata una stimolazione del calore. Invito poi ad uscire dalla vasca e a sdraiarsi sul lettino attiguo, dove si resta ben coperti per effettuare la reazione vera e propria.
Essere avvolti con coperte in età adulta evoca una condizione infantile alla quale possono accompagnarsi sensazioni ed emozioni. C’è chi si sente troppo stretto nelle coperte o chi non si rilassa perché i pensieri continuano a fluttuare nella mente senza sosta, qualcuno poi ha difficoltà a riscaldarsi. Di questi ed altri problemi si deve essere ben consci, affinché si possa loro far fronte quando ci si presentano. Una coperta in più o una boule ai piedi possono risolvere uno stato di disagio, in ogni caso vi è sempre a disposizione un campanello per segnalarmi eventuali problemi.
Il riposo dura circa mezz’ora, in seguito a volte apro l’involucro del paziente e osservo l’effetto sia sulla cute, sia ponendo domande su come è stato percepito l’intero processo. Dare la possibilità all’altra persona di sostare per sciogliersi al contatto con l’acqua emulsionata con un olio curativo mi consente di accompagnarla all’incontro con se stessa nel mondo del calore e di aiutarla a ritrovarsi e rafforzarsi.
L’esperienza di un medico che prescrive i bagni: la dott.ssa Silvia Nicolato
Lasciarsi ispirare dal disagio del paziente verso un olio che racchiuda una risposta alla sua stanchezza, al suo logorio, indurimento, alla pesantezza per la troppa fatica quotidiana. Osservare l’impaccio dolorante di articolazioni infiammate, ingrossate o rigide. Immedesimarsi nello stato di tensione e di gonfiore di chi non riesce a perder peso perché il metabolismo impigrisce e le escrezioni diminuiscono, oppure un bimbo ostruito di catarri nel pieno dell’inverno che respira poco e, pur avendo la testa ben calda, ha i piedi freddi e umidi nonostante le calze di lana.
Per interrogare il mondo delle piante, cercando l’olio più attivo in quel particolare stato: è come esplorare un paesaggio terrestre alla ricerca delle condizioni di luce, calore, umidità e terreno che creano quelle specifiche piante, compenetrate di quelle forze.
Per l’eccesso di terrestrità e di fibrosi che ossida e addensa il corpo fisico, posso attingere alle resine dai profumi intensi e penetranti che, dalle pinete e dagli arbusti odorosi, portano le forze luminose dell’estremo nord: la betulla canadese, ad esempio, cresce robusta e forte verso le zone artiche, impregnandosi di resine canforate dal potenziato effetto sugli indurimenti e sulla sclerosi, che colpiscono i vasi e le articolazioni nella seconda metà della vita.
Posso utilizzare l’olio delle forti bacche di ginepro, acre e penetrante, dagli arbusti tenaci e fittissimi che crescono compatti sui terreni più brulli e montagnosi, contratti e legnosi, traendone effetti deterrestrizzanti ed antireumatici sulle articolazioni fibrose e indurite. Cercherò, invece, nel mare, in cui esse verdeggiano, le stimolanti alghe, così ricche di iodio, in grado di attivare attraverso la tiroide un metabolismo lento e torbido in caso di obesità.
Posso altresì ricorrere all’asciutta famiglia delle ombrellifere nella sua rappresentante più antica ed emblematica, l’Angelica, panacea di ogni rimedio nell’antica medicina, dalla radice aromatica e delicata, capace di “asciugare” i catarri che appesantiscono il capo. Oppure il classico rosmarino, così tonico ed energizzante nel suo contrarsi ad arbusto ispido e legnoso, ma celeste nell’azzurro dei fiori che lo accendono tutto, può restituire tono e forza anche alla digestione laddove sia indebolita, in caso di ipotensione e disturbi del ricambio e diabete.
Partecipare ai problemi del paziente mediante la terapia con i bagni in dispersione oleosa è come spaziare nel ricco mondo delle piante alla ricerca di quell’aroma e di quel timbro di calore, di luce che, avvolgendo e compenetrando il corpo fisico appesantito, indurito o troppo freddo o umido di catarri, sono in grado di restituirgli elasticità e leggerezza.
da ArteMedica n. 0
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