Dottor Soresi, nel suo libro Guarire con la nuova medicina integrata fa precisi riferimenti alla medicina antroposofica. In particolare, racconta dell’incontro con alcuni medici della scuola steineriana. Come questa conoscenza ha influito sulla sua attività professionale?
Nel 1967 entrai al Niguarda come assistente in Anatomia Patologica. Tre anni dopo, avendo conseguito la specialità, mi trasferii al reparto di Pneumologia che, all’epoca, disponeva di un’ottantina di letti, di cui settanta occupati da pazienti affetti da tumore polmonare. Una sera, mentre ero di guardia presso il reparto, sentii bussare alla porta. Mi trovai di fronte un paziente che era stato dimesso alcuni mesi prima. Si trattava di un uomo sulla sessantina, magro, cui avevo diagnosticato un tumore polmonare, inoperabile, delle dimensioni – grosso modo – di un’arancia. Gli avevo proposto di sottoporsi a dei cicli di chemioterapia palliativa, ma lui aveva rifiutato.
Ora, mi chiedeva se avevo tempo per confrontare la radiografia che aveva sottobraccio con quella che gli era stata fatta prima di essere dimesso. Affiancai le due lastre sul diafanoscopio: il tumore si era ridotto di oltre il cinquanta per cento.
“Ha fatto la chemioterapia?”, chiesi. “No. Assolutamente, no”. E tirò fuori dalla tasca una scatoletta che conteneva fiale di Viscum Quercus cum Hg serie 1. A fatica, data la sua reticenza, riuscii a farmi indicare il nome del medico che gliele aveva prescritte. Si trattava del professor Buongiorno; un collega che ebbi in seguito occasione di incontrare. All’epoca il professor Buongiorno era un signore âgé, di grande cultura ed esperienza medica, soprattutto in campo omeopatico e fitoterapico. Fissai un appuntamento nel suo studio e, nell’arco di un pomeriggio, il professore mi aprì le porte al mondo della medicina antroposofica.
Dopo questo colloquio, presi in cura il paziente che, seguendo la sola terapia col vischio, visse per altri due anni in buone condizioni generali. Cosa per me del tutto insolita se consideriamo che i pazienti affetti da tumore polmonare inoperabile, all’epoca, difficilmente superavano l’anno di vita.
Secondo lei i principi della medicina allopatica e di quella antroposofica possono convivere all’interno di una stessa terapia?
L’esperienza di cui ho precedentemente parlato, mi portò a riflettere in merito a potenziali terapie da integrare al percorso chemioterapico.
Spinto anche da motivazioni personali, ebbi modo di approfondire la conoscenza dell’impiego del vischio recandomi dalla professoressa Leroy che dirigeva una clinica steineriana a Basilea. Misi così a fuoco l’attività di questa pianta capace di sviluppare due azioni terapeutiche: una di carattere anti-proliferativo, che spiegava la riduzione di quel tumore, l’altra di stimolo dell’immunità naturale.
D’altra parte, nel mio pluriennale percorso di terapie contro il tumore polmonare avevo avuto anche modo di verificare i vantaggi offerti dall’immuno-terapia con il vaccino antitubercolare. Un vaccino potentemente immunogeno sul quale ho condotto uno studio sotto l’egida dell’Università di Vienna.
Si è trattato di uno studio molto complesso, durato un anno, in quanto il vaccino forniva risposte abbastanza aggressive. Al termine della fase sperimentale, avevo avuto modo di constatare come, nel mio gruppo di 128 pazienti, quelli vaccinati col BCG presentavano indubbi vantaggi.
Intanto, gli studi di metanalisi, sviluppati negli anni ‘90, avevano evidenziato come la chemioterapia post-chirurgica riduceva addirittura del due per cento la sopravvivenza ai malati. A conferma che la tossicità non favoriva la risposta biologica. Mentre il vaccino BCG presentava un 9% di miglioramento della sopravvivenza.
Il potenziamento dell’immunità naturale rappresenta, quindi, l’unico baluardo in grado di controllare la crescita delle cellule tumorali residue. Per questo ai miei pazienti operati di cancro polmonare e con rischio di ricaduta metastatica propongo la terapia con Viscum Quercus cum Hg (serie zero o uno o due a seconda delle condizioni del paziente) sicuro di proteggerli potenziando l’immunità naturale.
Anche se da molti anni prescrive il vischio “come terapia integrata nei pazienti affetti da tumore, operati o in trattamento chemioterapico”, nel suo libro confessa di essere costretto “a dire ai malati di non parlarne con l’oncologo ospedaliero che li ha in cura”. Quasi a sottolineare l’ostracismo della medicina ufficiale nei confronti di terapie considerate “stregonesche e assolutamente inutili se non dannose”. D’altra parte, però, si rammarica per la chiusura manifestata dai medici della scuola steineriana nei confronti dei farmaci convenzionali. Quali possono essere i termini di una possibile integrazione?
Un’altra occasione di contatto con la medicina antroposofica fu l’incontro, avvenuto sempre negli anni ‘70, con un giovane medico: il dottor Sergio Maria Francardo, che mi chiese di frequentare il reparto di Pneumologia, preoccupandosi di avvertirmi di essere un “medico steineriano”.
Ricordando la precedente esperienza fui prontamente disponibile ad una collaborazione. Tutte le mattine, Francardo mi accompagnava nel mio giro di visite ai malati e nella raccolta delle analisi. In genere, mi osservava in silenzio. Di tanto in tanto, però, mi forniva indicazioni sul suo punto di vista di medico steineriano. Poi, dopo circa tre mesi, mi disse: “Guarda, Soresi, me ne vado”. Si sentiva troppo distante dal percorso del medico allopatico. Da allora, siamo rimasti buoni amici e ci capita sovente di collaborare. A volte è lui che mi indirizza un paziente con problemi quali versamenti pleurici, altre volte sono io che lo contatto per integrare una terapia steineriana sui miei pazienti oncologici.
Un aspetto fondamentale della medicina antroposofica è l’approccio olistico al paziente. Presso la clinica di Basilea i malati sono sollecitati a scrivere la propria biografia, a dipingere, ad ascoltare musica. Si cerca di cogliere l’uomo nella sua complessità.
La chiusura nei confronti della medicina allopatica priva però il terapeuta steineriano delle risorse fornite dalla scienza.
Certo, all’epoca in cui Steiner aveva sviluppato le proprie teorie la medicina scientifica presentava gravi limiti. Ma oggi è diverso. Se, ad esempio, i medici antroposofi integrassero la cultura dell’antibiotico, del cortisone con le loro conoscenze, ne guadagnerebbero davvero molto. D’altra parte constatiamo come il medico allopatico sia diventato eccessivamente pragmatico: sviluppa protocolli, si avvale di studi statistici. Ma ha perso il gusto della relazione con il paziente.
È sempre più orientato verso un mondo di complessità che è ridicolo pensare di poter governare. Bisogna correlarsi, usare di tutto e cercare di fare una buona medicina che non può essere solo scientifica ma anche basata sulla osservazione dei singoli casi clinici. Ricordiamoci, come afferma Edoardo Boncinelli, che la medicina si deve considerare una scienza in progress.
Come suggerisce nel suo libro, quindi, una possibilità di contatto risiederebbe nella medicina integrata; in una sorta di alleanza terapeutica?
Quello che occorre è una medicina basata su una grande esperienza clinica supportata da un’apertura mentale non legata a un paradigma.
Pensi, ad esempio, al cambiamento che ho dovuto operare nel mio cervello. Io parto da una medicina fortemente scientifica. Quando, nel ’98, ho cessato la mia attività ospedaliera, avevo maturato un percorso esperienziale già molto ricco, con 150 articoli di oncologia polmonare.
In questi lavori mi ero prevalentemente occupato di un tumore neuroendocrino, il microcitoma, da cui è nata la mia cultura in neurobiologia.
La biologia mi ha aperto la mente a un nuovo approccio all’organismo. Un approccio che ha rimesso in gioco in maniera potente l’effetto placebo. Un meccanismo assolutamente fisiologico, anche se la medicina contemporanea mostra insofferenza nei suoi confronti, quasi si trattasse di una truffa.
La risposta placebo è una risposta che tutti noi abbiamo: non è legata a un’isteria, è un momento biologico. Tanto più il medico è antropologo, tanto più è “sciamano”, tanto più è bravo nel gestire la comunicazione terapeutica, tanto più la risposta placebo è valida. Perché la bellezza della medicina risiede nella relazione. Nel farsi carico del malato, delle sue sofferenze, delle sue scelte. Nel mio libro Guarire con la medicina integrata, affronto questi nuovi concetti che in parte Steiner aveva anticipato con un’intuizione geniale. In fondo è molto divertente invecchiare come medico alla luce di un approccio veramente aperto, di un modo diverso di fare medicina. Perché la capacità del medico dovrebbe essere quella di saper sfruttare a 360 gradi tutte le conoscenze a sua disposizione.
Bruno Lanata
da ArteMedica n.30
Nato nel 1938, Enzo Soresi, medico specialista in anatomia patologica, malattie dell’apparato respiratorio e oncologia clinica, ha sviluppato tutta la sua carriera presso l’Ospedale di Niguarda Ca’ Granda dove – dal 1990 al 1998 – ha diretto come primario la Divisione di pneumotisiologia.
Specializzato in oncologia polmonare ha pubblicato sull’argomento oltre 150 articoli comparsi su riviste scientifiche nazionali e internazionali.
Attualmente è segretario di Octopus, associazione per le malattie fumocorrelate. Studioso di neurobiologia ha scritto un libro edito dalla UTET (2005) dal titolo “Il cervello anarchico” ed ha pubblicato insieme a Pierangelo Garzia ed Edoardo Rosati “Guarire con la nuova medicina integrata” per Sperling & Kupfer.
UN ASPETTO FONDAMENTALE DELLA MEDICINA ANTROPOSOFICA È L’APPROCCIO OLISTICO AL PAZIENTE
PERCHÉ LA BELLEZZA DELLA MEDICINA RISIEDE NELLA RELAZIONE. NEL FARSI CARICO DEL MALATO, DELLE SUE SOFFERENZE, DELLE SUE SCELTE