Sformato di architettura organica

Le forme architettoniche che nascono dal contesto conoscitivo dell'Antroposofia si caratterizzano per una scarsa presenza di angoli retti. Di Giuseppe Guasina

di Giuseppe Guasina, architetto

Le forme architettoniche che nascono dal contesto conoscitivo dell’Antroposofia si caratterizzano per una scarsa presenza di angoli retti. Questo fatto, preso isolatamente, è ben lontano dall’essere rappresentativo del significato di questa concezione architettonica; lo possiamo non di meno prendere come un punto di partenza per sviluppare dei pensieri intorno al fenomeno della forma.

Una grande impresa compiuta dall’umanità è stata quella di comprendere ed utilizzare le forze dell’ambiente fisico terrestre. Tra queste la più caratteristica è la forza di gravità, elemento onnipresente, che si attenua fino a scomparire solo allontanandosi dal pianeta. Questa forza agisce, nella verticalità, in senso radiale verso il centro della terra e tende a disporre le sostanze in piani orizzontali. Ciò si può vedere nella maniera più efficace nei liquidi che, se non interessati da altri fatti perturbanti, formano superfici orizzontali.
La relazione che lega le opposte condizioni della orizzontalità e della verticalità è rappresentata dall’angolo retto. Pensiamo a quanto peculiare, ma anche bella e misteriosa, è questa forma che in natura si trova rappresentata nei cristalli. Da tempi immemorabili l’arte del costruire ha portato negli edifici questo gesto del mondo minerale e, attraverso ciò, in una continuità ideale, l’umanità ha sperimentato negli ambienti costruiti l’influsso dell’elemento terrestre. Ne ha ricevuto così un’azione formativa “mineralizzante” che ha accompagnato e sostenuto l’essere umano nell’impresa di padroneggiare l’ambito terrestre a cui prima si accennava.
Per comprendere meglio questo processo possiamo considerare l’uomo vitruviano che compie il grande incantesimo di mettere in relazione il Cerchio-Cielo e il Quadrato-Terra. Questa immagine ci dice che l’essere umano è cittadino sia del Cielo che della Terra e, come abitante della terra, deve familiarizzarsi con le forze terrestri simboleggiate dal quadrato. In ciò possiamo trovare, più sottilmente, anche un aspetto morale che, come nel caso precedente, la saggezza del linguaggio ha colto: si definisce “retta” o “corretta” una persona che “sa come stare al mondo” con senso di giustizia.
Sperimentare il quadrato può quindi voler dire, non solo rendersi pratici, ma anche “giusti”. In questo possiamo riconoscere la missione evolutiva del quadrato.
Ora possiamo chiederci, non come singoli individui, ma come umanità: al grado di evoluzione a cui siamo giunti, abbiamo ancora bisogno di una presenza così importante dell’angolo retto nei nostri ambienti di vita? E’ ancora utile e necessaria la sua azione mineralizzante tesa a congiungerci sempre più strettamente con la terra?
Da vari sintomi si può capire che la nostra civiltà si è già troppo mineralizzata, si potrebbe anche dire invecchiata, irrigidita, cristallizzata. Si constata ad esempio che la popolazione stessa sta invecchiando; per contro l’infanzia, come condizione esistenziale, è minacciata da fenomeni di preconizzazione, cosicché nei bambini insorgono comportamenti, abitudini, tipi di malattie, che nei tempi passati erano tipiche dell’età adulta o addirittura senile.
Il diventare consapevoli comporta inevitabilmente la perdita di forze vitali; questo si può osservare sia nella biografia di ogni individuo che nell’evoluzione dell’umanità. L’arte di vivere consiste anche nel saper dosare giustamente queste due forze polari del Cerchio-Forze cosmiche vitali e del Quadrato-Forze terrestri di consapevolezza.
Ai nostri giorni una cultura eccessivamente rivolta a ciò che è fisico terrestre ci ha fatto diventare troppo “quadrati”: l’essere circondati da angoli retti quasi in modo ossessivo ne è sintomo e causa. Come si colloca l’architettura contemporanea rispetto a questi fenomeni? Dalle riflessioni fin qui svolte emerge che la nostra cultura ha bisogno di un pensiero che, senza perdere chiarezza e razionalità, si appropri consapevolmente di un elemento vitale. Come dall’ambito minerale sorge la vita attraverso l’apporto di forze cosmiche che si manifestano nella luce e nel calore dando origine al mondo vegetale, così l’architettura, in una corrispondenza di immagini, può elaborare in sé un corrispondente elemento vitale. Questa è l’idea dell’architettura organica.
Come nel passaggio dall’inorganico all’organico la natura perde totalmente gli angoli retti perché i cristalli si trovano solo nella terra, così, restando in metafora, l’architettura può ampliare il suo repertorio espressivo perdendo mineralità, per quanto le è consentito, per diventare, una pianta. L’uomo vitruviano moderno può ritenere sensato vivere meno unilateralmente nel quadrato e più liberamente nel cerchio, operando così un riequilibrio.

Leonardo Da vinci, L’uomo vitruviano

Identità e linguaggio espressivo
La questione è delicata e non può che ricevere una risposta in divenire, proprio com’è l’elemento vivente dell’organico.
Non è certo un caso, a questo proposito, che un ciclo di conferenze di Rudolf Steiner – di grande importanza per comprendere il contributo che l’Antroposofia dà all’architettura- porta il titolo significativo: “Verso un nuovo stile architettonico”. Riportiamo a questo proposito alcune affermazioni di Rudolf Steiner tratte da una conferenza del 28 dicembre 1921: “Mentre( … ) gli antichi stili architettonici erano costruiti su base geometrica, simmetrica, su una certa uniformità, in breve, su di un elemento matematico, si dovette ora passare ad uno stile architettonico organico che dal geometrico-dinamico porta all’organico-vivente.
Quello che Goethe perfezionò una volta conoscitivamente per la comprensione degli organi, può ora essere elevato sul piano artistico, e deve esserlo, quando si traspone lo stile architettonico geometrico-dinamico nello stile architettonico organico”.
Queste indicazioni sono sorprendenti. Si può considerare con interesse ciò che dice Rudolf Steiner conoscendo la fecondità delle sue conoscenze in molti campi dell’attività umana. Ma perché si richiama all’opera di Goethe? Le azioni con le quali la natura organica produce e riproduce continuamente se stessa furono indagate da Goethe da un punto di vista morfologico e da lui chiamate “metamorfosi”. I metodi d’indagine del mondo organico goethiani non lasciarono una tradizione di ricerca proporzionata alla loro importanza. Nel 1885, all’età di ventidue anni, Rudolf Steiner ricevette l’incarico di scrivere l’apparato critico e curare l’edizione delle opere scientifiche di Goethe per la “Letteratura Nazionale Tedesca”. Riportò così all’attenzione la grande importanza di questa opera per un rinnovamento del pensiero scientifico nel mondo organico. Da quel momento prese avvio un impulso conoscitivo diretto alla comprensione di questo “gesto” fondante la natura organica e alla sua applicazione per un rinnovamento in diversi campi dell’attività umana.
La metamorfosi è il processo che gli organismi compiono per creare se stessi producendo di volta in volta parti con caratteristiche polari a quelle che precedono o seguono, sia in senso spaziale che in senso temporale. Tipico della natura organica è un suo carattere unitario per cui ogni parte ha una corrispondenza con l’intero organismo cui appartiene.
Con riferimento alla metamorfosi della pianta così come Goethe le indica, si può affermare che nel seme vi sia totalmente racchiuso l’essere della pianta, l’organismo vegetale, quale essa sarà. Sono ovviamente necessarie condizioni esterne di umidità di luce e di calore, ma queste rappresentano solo delle condizioni esterne che consentono lo sviluppo di un processo presente nel seme. Da questo spuntano le prime grossolane foglie caulinarie e altre più affinate si susseguono sullo stelo. La pianta procede poi a manifestarsi in un nuovo organo, il calice; segue la corolla, gli organi sessuali ed infine il frutto nel quale è contenuto nuovamente il seme. Nel susseguirsi di questi eventi noi possiamo cogliere delle leggi e vedere intuitivamente all’opera sempre la medesima entità: la pianta stessa. La sua essenza viene di volta in volta a manifestazione in modo sorprendentemente diverso: in una forma contratta nel seme, nelle successive espansioni delle foglie che si estendono ritmicamente a rivestire gli steli e nel calice dove i sepali si appiattiscono bruscamente attorno ad un unico punto. La corolla è poi qualcosa di veramente sorprendente: in essa le leggi alla vegetalità sembrano venire addirittura superate in una manifestazione in cui compaiono i colori e i profumi. A questo segue poi ancora una contrazione negli organi sessuali, fino un’ultima espansione nel frutto.
Al termine della sua vita o a conclusione di un ciclo vegetativo appare di nuovo il seme, la forma più concentrata e di nuovo premessa di nuove metamorfosi. In ognuna di queste manifestazioni è presente tutto l’organismo; ogni parte  rimanda al tutto, e il tutto si presenta in ogni parte.
La metamorfosi è il processo fondamentale attraverso cui la pianta si manifesta in un’evoluzione nella quale la foglia sta in una posizione centrale e si potrebbe dire, rappresentativa dell’intero processo, tanto da essere indicata da Goethe come il “Proteo” che si trasforma manifestandosi in ciascun organo. In questi passaggi di ritmica oscillazione tra le polarità della contrazione (seme, calice, organi sessuali) e dell’espansione (foglia, calice, frutto), troviamo il simbolo di tutto ciò che ha vita, che si ripete e che si ripresenta: l’inspirazione e l’espirazione, la veglia e il sonno, la vita e la morte.

Edificio organico
Comprendere in forma ideale questo processo fondante la natura organica e farlo rivivere nell’ideazione di un edificio non è evidentemente una cosa semplice. Ciò può avvenire partendo da una base conoscitiva e attraverso una particolare sensibilità artistica. Noi procediamo in senso organico alla ricerca di un’ispirazione architettonica quando un’interiore familiarità con i processi di metamorfosi osservati e studiati, richiamati dal fondo della nostra anima e alimentati dalla nostra personale fantasia e libertà espressiva, producono una contro immagine architettonica nel contesto in cui ci troviamo ad operare.
Questo processo non avviene nella piena consapevolezza del soggetto nel quale si produce. Le ispirazioni nascono in certe parti della nostra anima che potremmo definire” sognanti”. È come se una corrente di sensazioni, dati conoscitivi conquistati con un duro lavoro, atmosfere vissute, s’inabissasse per poi riemergere in forma di concreti impulsi ispiratori. Noi non possiamo agire direttamente in questa sfera interiore mentre è intenta a trasformare immagini; possiamo però alimentare questo flusso di sostanza conoscitiva e immaginativa e affinare l’anima per operare con sempre maggiore artisticità. Possiamo quindi distinguere tre momenti.
Il primo è quello artistico-conoscitivo e consiste nel formarci come soggetti conoscenti la natura organica nelle sue leggi metamorfiche. Il terzo è il nostro lavoro di composizione architettonica retto da conoscenze professionali e calato nello specifico contesto operativo. In mezzo vi è l’attività sognante che trasforma il gesto ideale della natura organica in concreto gesto architettonico. La natura organica si manifesta da sé senza la nostra partecipazione; il gesto architettonico è invece prodotto da noi e proiettato nella forma della costruzione .. In questo modo portiamo a manifestarsi concretamente qualcosa che prima non c’era e che solo grazie a noi può costituirsi. Questa opera artistica, della quale portiamo interamente un’umana responsabilità, può essere indicata usando le parole di Goethe come una “seconda natura, sentita, pensata, umanamente perfetta”.
Questa affermazione getta una luce sul nostro operare architettonico. Pensare semplicemente di progettare e realizzare edifici è ben diverso dall’essere i prosecutori dell’opera della natura. La responsabilità e l’entusiasmo che nascono da qu,esta visione delle cose aprono delle prospettive completamente nuove.

Goetheanum, cerimonia della copertura del tetto: festa con tutti i lavoratori, 1 aprile 1914

Aspetti morali dell’architettura moderna
Nelle forme architettoniche si rispecchiano anche aspetti morali. Nell’angolo retto è rappresentata geometricamente una certa idea della “rettitudine”. E’ possibile che una nuova architettura sia rappresentativa di una rinnovata concezione morale? Superando l’unilateralità dell’angolo retto, l’architettura organica porta un ampliamento espressivo cosi come contiene aspetti morali dei quali le forme architettoniche sono una rappresentazione figurativa.
Come con il ripetere insistentemente la condizione dell’ortogonalità si limita la libertà espressiva, così nella condotta morale della rettitudine è presente sottilmente un elemento costrittivo. In entrambi i casi, l’atmosfera che troviamo sullo sfondo di questo comportamento architettonico-morale è l’osservanza di determinate regole che vengono da fuori di noi. Obbedire esclusivamente alla forza di gravità e farsi determinare da questa, assumere un comportamento retto, diventare “quadrati”: tutto questo col tempo porta ad appiattire le capacità creative e la vitalità. Noi possiamo sentire di essere anche “Cerchio” o, per meglio dire, di essere tutto ciò che sta tra “Quadrato ” e “Cerchio”. Questo punto di vista ideale ci permette di vedere unificate dallo stesso impulso di libertà la ricerca di nuova espressività architettonica e la nostra individuale condizione esistenziale.
A cosa dovremmo quindi sostituire la rettitudine? Lo suggerisce Schiller nelle sue “Lettere sull’educazione estetica dell’uomo”. Nella lettera quindicesima troviamo queste affermazioni: “Insomma ( … ) l’uomo gioca solo quando è uomo nel pieno significato della parola ed “è” interamente uomo solo quando gioca. Tale posizione, che in questo momento sembra quasi un paradosso, acquisterà un grande e profondo significato solo quando saremo giunti ad applicarla ai severi problemi del dovere e del destino; essa sosterrà, io Le prometto, tutto l’edificio dell’arte estetica e della ancor più difficile arte della vita”. Quando non ci si costringe ad un comportamento corretto, ma ci si dà delle regole ritenute giuste e si seguono con dedizione perché intimamente condivise e corrispondenti al proprio essere, ciò è fonte di piacere ed edificazione. Proprio come quando un bambino gioca.
Troviamo queste idee compiutamente elaborate nell’opera di Rudolf Steiner “La filosofia della libertà” alla quale può fare riferimento chi volesse approfondire questo tema, in particolare, nel capitolo “Fantasia morale”. Anche Vittorio Leti Messina ha chiamato “L’architettura della libertà” quella che prende impulso dall’opera di Rudolf Steiner.
Da quanto esposto, emerge con una certa evidenza che l’Antroposofia porta un contributo al rinnovamento dell’architettura in senso organico non specialistico e tanto meno figurativamente codificato. Si tratta di un impulso ideale i cui vasti orizzonti unificano, in una comune condizione di libertà, l’operare come architetti e il divenire individui.

Da ArteMedica n. 1